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Non sempre le cose vanno a finire bene

Jon Klassen's This Is Not My HatUno degli autori emergenti nel panorama degli albi illustrati è sicuramente il giovane canadese Jon Klassen, che inizia a essere ben conosciuto tra gli addetti ai lavori, anche in virtù di alcuni importanti premi e riconoscimenti che ha ottenuto con i suoi lavori. Senza ombra di dubbio, si tratta di un autore ben fuori dagli schemi: uno che non ha avuto paura di provocare, di sovvertire l’andamento consueto e atteso delle storie per bambini, non solo per il gusto di farlo, ma per suscitare una reazione nel lettore. E c’è riuscito benissimo.

Il suo libro al momento più noto e premiato (ha ottenuto proprio nel 2013 la Caldecott Medal, uno dei più ambiti premi per gli autori di albi illustrati pubblicati in inglese e negli Stati Uniti) è This Is Not My Hat (ed. originale 2012), tradotto e pubblicato in italiano dalla ZOOlibri con il titolo Questo non è il mio cappello (2013).

È una storia del tutto particolare, quella di un pesciolino che ruba il cappello a un pescione, pensando di farla franca andando a rifugiarsi tra le alghe più fitte. Ma, nella vita, le cose non vanno sempre come si spera e come ci si aspetta: il pesciolino si illude che il pescione non si accorga del furto e che, pur accorgendosi, non perda tempo nella ricerca del piccolo ladro; si illude fidandosi del silenzio di quel piccolo granchio che l’ha visto passare con il cappello rubato; e si illude di essere al sicuro, tra le alghe più fitte. Già, si illude, perché il pescione l’ha visto e l’ha inseguito e… il libro si conclude con l’immagine del pesce enorme che torna indietro, con il cappello di nuovo in testa, e con l’ultima inquietante immagine, che mostra le alghe fitte desolate e immobili, senza presenze vive al loro interno. Insomma, anche se non si dice esplicitamente, ci sono tutti gli indizi per supporre che il pesciolino abbia fatto una brutta fine. Un bambino che ascolta la lettura di questo libro non esiterà a dirvi che il pesciolino “è dentro la pancia del pescione”, statene pur certi! Ed è proprio il finale che sconvolge, che sorprende, che non ci si aspetterebbe in un libro per bambini; è però – allo stesso tempo – il finale che contribuisce in modo decisivo a fare di Questo non è il mio cappello un grande libro, una grande storia: nella vita, quando si commette qualche azione cattiva si può anche pagare un caro prezzo; non è detto che si venga sempre perdonati, che la si passi liscia e che ci sia redenzione. A volte va a finire male, ecco tutto.

Come per il libro Not Now, Bernard, ci troviamo di fronte a una proposta forte, scioccante, che però apre universi didattici e prospettive di straordinario interesse: esattamente come con il libro di McKee, anche con Questo non è il mio cappello bisogna evitare di lasciare il giovane lettore da solo con la storia: bisogna parlarne, discuterne, capirla, per poi arrivare a riraccontarla o a riscriverla. Qualche esempio? Be’, per la discussione è indispensabile lavorare sui personaggi e sui loro comportamenti, per cercare di inquadrarli dal punto di vista morale: chi si è comportato peggio? il pesciolino, che ha rubato il cappello ed è fuggito? il pescione, che si è ripreso il cappello con la forza? o il granchietto, che ha fatto la spia? E poi si può virare sull’autobiografico (racconta di quella volta in cui ti sei sentito come il pesciolino/il pescione/il granchietto) e sul riracconto/riscrittura (immaginiamo che il pescione non abbia mangiato il pesciolino: come può essersi ripreso il cappello senza ricorrere alla forza?). Insomma, gli spunti sono davvero tanti, e tutti stimolanti, come solo una storia “divergente” può far sorgere.

Ultima cosa: Questo non è il mio cappello è il secondo libro su animali e cappelli scritto da Jon Klassen: il primo si intitola Voglio il mio cappello! (ZOOlibri), ed è la storia di un orso al quale è stato sottratto indebitamente il proprio cappellino. Forse potete immaginarvi che cosa succede a quel piccolo coniglio che se ne è impossessato…

Dalla parte dei bambini: il dramma di non essere ascoltati

mckee_non_now_bernardChi l’ha detto che ai bambini bisogna sempre leggere testi rasserenanti, divertenti e “leggeri”? Anche i bambini hanno i loro problemi, e non sono solo questioni di giocattoli e di cartoni animati: molti di loro sono turbati da pensieri che li inquietano, che minano la loro naturale spensieratezza. E a volte, per farli riflettere, per far sì che questi problemi possano essere meglio definiti, e magari risolti, può essere opportuno che i bambini si trovino confrontati con essi, in modo “provocatorio”, cioè per “tirare fuori la loro voce”. A volte, infatti, basta parlare dei problemi per iniziare a superarli.

E uno dei problemi più frequenti, per ogni bambino, è il rapporto con i genitori: sereno, a volte, ma molto spesso problematico, fonte di conflitti e di turbamenti, quando non di dolore e terrore. E ci sono storie che affrontano proprio questo tema, in modo anche assai diverso l’una dall’altra: il libro di cui parleremo è un testo che lo fa in maniera assai “divergente”, dura, per certi versi scioccante, ed è privo di lieto fine. Si tratta di un bellissimo albo illustrato di David McKee, l’inventore di Elmer, l’elefante variopinto, uno dei suoi personaggi più noti. Si intitola Not Now, Bernard (prima ed. 1980; edizione recensita Andersen Press, 2012), che tradotto in italiano suona Non ora, Bernardo, anche se l’edizione italiana (ormai non più disponibile) venne stampata dalla Emme Edizioni di Rosellina Archinto con il titolo di Non rompere, Giovanni, scelta ancora più provocatoria e fuori dagli schemi.

La storia è molto semplice: un bambino, Bernardo, cerca di attirare l’attenzione dei suoi genitori, ma inutilmente, perché loro, presi in occupazioni domestiche banali, ogni volta gli rispondono con il “ritornello” del titolo: “non ora, Bernardo”. Il bambino allora si reca in giardino, dove c’è un minaccioso mostro che, senza indugi, se lo mangia, restando poi soddisfatto a contemplare una sua scarpina. Il mostro, poi, entra in casa e minaccia madre e padre, con il medesimo risultato che aveva ottenuto, con loro, il bambino: “non ora, Bernardo”. I genitori neppure si accorgono che il loro piccolo Bernardo è stato sostituito da un mostro; addirittura, la mamma giunge al punto di mettere a letto il mostro, dandogli la buonanotte con il consueto “ritornello”. E così finisce la storia. Niente lieto fine, niente riconciliazione, ma uno strappo netto, definitivo, irrimediabile.

E perché proporre una lettura del genere a un bambino? Per metterla in discussione, ovviamente. Per parlare tutti insieme di un problema che più o meno tutti i bambini si trovano ogni tanto ad affrontare: quello dei genitori che “non hanno tempo”, presi nelle loro occupazioni e persi nei loro pensieri. La discussione diventa dunque un modo per capire meglio il punto di vista altrui (dei genitori e del bambino), al fine di esorcizzare una delle più grandi paure: quella di non essere ascoltati, fino a non esistere. Per arrivare, magari, a una riscrittura o a una rivisitazione della storia di partenza, a partire da stimoli come “Ma siamo proprio sicuri che il mostro abbia mangiato Bernardo? Non è che per caso lui è fuggito, e ha perso una scarpina?”; oppure “Proviamo a inventare un nuovo finale a questa storia, un finale in cui ci sia ancora Bernardo”; oppure ancora “Immaginiamo che cosa sarebbe potuto succedere se il papà o la mamma di Bernardo lo avessero ascoltato, invece di dirgli non ora, Bernardo”. Possiamo arrivare anche alla rappresentazione teatrale, basata su un copione ispirato alla storia, in cui i bambini impersonano bambini e genitori che non li ascoltano.

Insomma, l’importante è non lasciare il bambino da solo con questa  lettura, altrimenti rischieremmo di comportarci più o meno come i genitori della storia: il libro deve essere uno spunto per riflettere, per approfondire, per poi andare oltre.