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Il mare della lingua di Gianni rodari

Se è indubbiamente vero che tra le cose che l’emergenza Covid-19 ha irrimediabilmente guastato ci sono anche le moltissime iniziative programmate per il centanario della nascita di Gianni Rodari, non si può dire che abbia fatto altrettanto dal punto di vista dell’interesse di studiosi ed esperti e della stampa in generale per la vita e l’opera del favoloso Gianni. Le pubblicazioni su di lui non si sono fermate: recentissimi sono, ad esempio, l’edizione aggiornata del sempre fondamentale libro di Pino Boero Una storia, tante storie. Guida all’opera di Gianni Rodari (San Dorligo della Valle, Einaudi Ragazzi, 2020) e il nuovo studio di Vanessa Roghi Lezioni di fantastica. Storia di Gianni Rodari (Roma-Bari, Laterza, 2020).

Anche Treccani ha dedicato spazio a Gianni Rodari con lo speciale online Gianni Rodari, quando vale la pena di stare al gioco, con contributi di Elisa De Roberto, Rosarita Digregorio, Paolo Fallai, Silvana Loiero, Margherita Sermonti e del sottoscritto.

Il mio pezzo si intitola Da quasi calmo a molto mosso: il mare della lingua nelle Favole al telefono, e presenta alcuni spunti sull’impasto linguistico che caratterizza una delle sue opere più conosciute, dalla costante dimensione della “tranquillizzante” colloquialità alle esplosioni di creatività linguistica dei meravigliardi e dei meraviglioni. Un impasto linguistico che pare rispondere benissimo allo scopo di risvegliare l’attenzione del giovane lettore.

Sempre a proposito delle Favole al telefono, segnalo una bellissima versione della raccolta in formato audiolibro, con la voce (adattissima a queste brevi storielle) di Claudio Bisio per Emons libri&audiolibri.

Se la fantasia diventa un tunnel

Dalla rubrica Libri sui banchi del «Corriere del Ticino» (06.07.2015, p. 20):

001_fotoLo scrittore americano Stephen King, in un suo saggio del 1981 sull’arte di scrivere libri dell’orrore (Danse macabre, ed. it. Theoria, 1992), ha parlato dello sguardo adulto spiegando che, con il passare degli anni, esso si restringe sempre più, provocando quella visione “a tunnel” che ci impedisce di guardare il mondo con lo sguardo aperto del bambino. Ecco le sue parole: “La mia idea della crescita è che il processo consista essenzialmente nello sviluppo di una visione ristretta delle cose, come se la mente entrasse in un tunnel, e in una graduale ossificazione della facoltà immaginativa”. Come dargli torto? Sappiamo bene che i bambini, invece, vedono il mondo con una mente molto più aperta, pronta a cogliere i legami inaspettati tra le cose, disposta in maniera del tutto naturale a compiere viaggi di fantasia, in cui anche un banalissimo oggetto (una sedia, una scatola, un sasso) può diventare qualcosa di magico.

E la citazione di King ci porta a riflettere sul ruolo e sulle qualità che dovrebbe avere lo scrittore di libri per bambini e per ragazzi: prima di tutto, dovrebbe appunto avere la capacità di tornare a osservare il mondo con gli occhi del bambino. Si tratta, per dirla con la studiosa Giorgia Grilli, di riportare l’altezza dello sguardo qualche centimetro più in basso, più o meno nel punto in cui gli occhi del bambino si spalancano sul mondo. È così che lo scrittore entra in sintonia con il suo giovane lettore, facendosi sentire vicino a lui e al suo modo di vedere le cose. Ad esempio, è così che le descrizioni di Roald Dahl, che a un adulto possono sembrare esageratamente forti e caricaturali, si rivelano tanto efficaci per gli occhi bambini: perché quei personaggi così minacciosi e terrorizzanti non sono altro che i “grandi” così come se li trovava davanti il giovane Dahl quando andava a scuola e veniva punito per i più futili motivi.

Ricordarsi la prospettiva “dal basso”, dunque, diventa il requisito primario per essere un valido scrittore di libri per l’infanzia. Oppure, come insegnava Gianni Rodari, bisogna conservare quell’orecchio acerbo che porta un signore maturo incontrato sul diretto Capranica-Viterbo a spiegare: “Di giovane mi è rimasto soltanto quest’orecchio. / È un orecchio bambino, mi serve per capire / le cose che i grandi non stanno mai a sentire: / ascolto quel che dicono gli alberi, gli uccelli, / le nuvole che passano, i sassi, i ruscelli, / capisco anche i bambini quando dicono cose / che a un orecchio maturo sembrano misteriose…”.

Abbassare lo sguardo e conservare almeno un orecchio acerbo, anche quando si è “grandi”: la terza serie della rubrica Libri sui banchi si apre dunque con due “trucchi” che possono aiutarci a dimenticare o abbandonare, almeno per un po’, la visione “a tunnel”, perché anche da adulti possiamo riscoprire la meraviglia delle cose viste con gli occhi del bambino. E non si tratta di trucchi buoni “solo” per i libri e la lettura: anche da genitori e da docenti abbiamo bisogno, ogni tanto, di ricordarci com’era il mondo quando avevamo l’età dei nostri figli e dei nostri allievi, per entrare meglio in contatto con la loro sensibilità e le loro straordinarie capacità cognitive.

E a riscoprire la meraviglia delle cose ci aiuteranno, nelle prossime tre puntate, sei studenti del DFA della SUPSI, che ci parleranno di tre libri in cui gli autori hanno saputo abbassare lo sguardo e spalancare gli occhi per viaggiare senza freni con la fantasia:  La sedia blu di Claude Boujon, Favole al telefono di Gianni Rodari Viaggio di Aaron Becker.

Cliccando qui è possibile scaricare il pdf dell’articolo pubblicato sul  «Corriere del Ticino».