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La battaglia navale della punteggiatura su «La Vita Scolastica»

2017_vsaLa battaglia navale della punteggiatura, cioè la proposta didattica elaborata da Raffaella del Bono e descritta in questo articolo, è ora approdata sulle pagine della rivista «La Vita Scolastica» (numero 9/2017), che ne presenta in breve gli obiettivi e le caratteristiche.

L’articolo, intitolato Punto e virgola. La battaglia navale della punteggiatura: un gioco didattico per rinnovare un esercizio tradizionale e scritto a quattro mani da Simone Fornara e Raffaella del Bono, è disponibile per gli abbonati alla rivista o sulla piattaforma Academia.

A questo link è invece possibile scaricare il gioco e le istruzioni.

La battaglia navale della punteggiatura

punteggiaturaIn più occasioni mi è capitato di mettere in discussione la reale utilità di uno degli esercizi più sfruttati per l’insegnamento della punteggiatura: l’inserimento dei segni in un testo che ne è privo. Gli schedari per la scuola primaria in commercio ne sono pieni, tanto che spesso diventa il fulcro attorno al quale ruota la didattica dell’interpunzione. Questo tipo di esercizio, però, più che insegnare, permette di verificare le competenze dell’allievo e di monitorarne l’evoluzione, ma anche in ciò ha dei limiti: la reale competenza d’uso si vede infatti solo nella composizione (più o meno libera) di un testo, e non nello svolgimento di esercizi. Per questo motivo, ad esempio nel mio libro Alla scoperta della punteggiatura. Proposte didattiche per riflettere sul testo (Roma, Carocci, 2012), ne ho proposto un uso parco, avanzando nel contempo l’idea che, per essere più utile, andrebbe collegato al discorso sulle tipologie testuali, chiedendo agli allievi di inserire i segni in testi appartenenti in modo chiaro a una di esse: in questo modo, l’allievo capisce che a una tipologia testuale precisa corrisponde un uso più o meno vincolato dei segni di punteggiatura. Ad esempio, in un testo regolativo (una ricetta o le istruzioni di un gioco), la posizione dei segni diventa quasi obbligata, mentre in un testo narrativo è un po’ più libera. In questo modo è possibile rivitalizzare un esercizio un po’ vetusto, rendendolo più coerente con i contenuti dei programmi di studio odierni e con i principi che regolano (e che dovrebbero guidare) la didattica dell’italiano del terzo millennio.

Per questo, mi ha fatto enormemente piacere ricevere la lettera di una maestra di scuola primaria, Raffaella del Bono, dell’Istituto Comprensivo M.K. Gandhi di Pontedera (PI), che ha avuto la gentilezza di condividere con me un proposta didattica sulla punteggiatura ispirata a quelle mie pagine e che lei, con grande creatività e passione, ha rielaborato per i suoi allievi. Si tratta di un’affascinante battaglia navale interpuntiva.

Il gioco, che si svolge a coppie (o in due squadre), è molto semplice: si gioca come la battaglia navale classica, solo che invece di colpire e affondare le navi, bisogna indovinare dove sono posizionati e quali sono i segni di punteggiatura all’interno di un testo.

La maestra Raffaella ha avuto anche la pazienza di rispondere ad alcune mie domande: le sue parole permettono di capire meglio lo spirito che anima questa e altre iniziative simili.

Come è nata l’idea di una battaglia navale della punteggiatura?

Io lavoro in una scuola che fa parte della rete delle scuole “Senza Zaino”. Il “Senza Zaino” è un modello che si sta diffondendo da una decina d’anni in molti Istituti (credo che siano circa un centinaio in Italia). Partito dalla Toscana, e precisamente da Lucca, dove il dirigente scolastico Marco Orsi lo ha elaborato, si sta diffondendo in varie regioni. Gli aspetti che caratterizzano questo modello di scuola sono molteplici: l’eliminazione dello zaino è solo il più eclatante. Tra le molte caratteristiche del modello vi è la valorizzazione del lavoro differenziato per favorire l’autonomia degli alunni. In pratica ci sono momenti, durante la settimana, in cui la classe non segue un’attività uguale per tutti, ma i ragazzi lavorano su attività differenti, in autonomia. Per questo gli insegnanti predispongono degli strumenti di lavoro che permettano tali attività e il controllo autonomo dell’errore. Tutti noi siamo quindi impegnati nell’elaborazione di strumenti di lavoro sempre nuovi. Caratteristica di questi strumenti è generalmente quella di essere motivanti e accattivanti. Ci sono scuole dove sono state istituite delle “Fabbriche di strumenti” che gli insegnanti della rete possono visitare e a cui possono ispirarsi per creare il proprio materiale. Non ho mai trovato però nulla che riguardasse la punteggiatura e così qualche giorno fa mi sono messa a pensare a cosa avrei potuto realizzare. Sull’onda di alcuni strumenti che avevo appena realizzato (Gioco dell’oca di verbi e aggettivi, Memory dell’Indicativo), ho pensato a un altro gioco “classico” per bambini, la Battaglia Navale. Il gioco doveva permettere un lavoro in coppia e consentire il controllo autonomo dell’errore. La Battaglia Navale è ovviamente pensata come un momento di esercitazione successivo al percorso collettivo di riflessione sulla punteggiatura.

Quello che vorrei sottolineare è che le idee per una didattica innovativa non nascono da sole, sono spesso frutto di ambienti  stimolanti e all’avanguardia.

Quali sono le reazioni degli allievi di fronte a queste attività?

In generale le reazioni a questi stimoli sono sempre molto positive. I bambini sono sempre entusiasti di utilizzare strumenti che rendano la didattica più interessante e meno monotona.

E in termini di apprendimento, che cosa si può dire di attività come queste? Dalla sua esperienza, ha ricavato che servono davvero a qualcosa?

Sì, sono convinta che servano davvero. Vengo da un’esperienza molto lunga nella scuola dell’Infanzia. Lì è pratica comune inserire il gioco, libero o guidato, nella didattica. Il gioco, da sempre, sia in contesti formali che informali, permette l’acquisizione di numerosi apprendimenti. Nella scuola primaria non è sempre facile proporre la pratica ludica nella didattica, ma quando è possibile i bambini sono sicuramente molto più motivati. La motivazione è un grosso motore per imparare.

Un grande grazie, dunque, alla maestra Raffaella: è per merito di persone appassionate come lei che le nuove generazioni possono disporre di occasioni di apprendimento stimolanti e rispettose delle loro straordinarie (e troppo spesso trascurate) capacità.

Cliccare qui per scaricare le istruzioni e tutti i materiali didattici della Battaglia navale della punteggiatura.

Dettato sì o dettato no?

IMG_3461Il dettato è una delle pratiche didattiche più resistenti nella scuola primaria di lingua italiana. Oggi, come ieri, la maggior parte dei docenti detta; è un dato di fatto. Ma i pareri circa l’utilità del dettato sono anche molto discordanti. E a volte manca una vera consapevolezza riguardo al suo utilizzo.

Già, a che cosa serve il dettato? Molti pensano che serva a imparare a scrivere; molti altri a imparare l’ortografia; qualcuno pensa che non serva a niente di tutto ciò, e che in fin dei conti sia soltanto una tortura alla quale vengono sottoposti milioni di bambini, senza possibilità di scampo.

E allora, di fronte a questi dubbi, a questi pareri discordanti, la cosa migliore da fare è mettersi a studiare vizi e virtù di questa pratica didattica in modo rigoroso e scientifico, per sgombrare il campo da equivoci e luoghi comuni. Come ha fatto Elisa Farina, insegnante di sostegno nella Scuola primaria che ha conseguito il dottorato in Scienze della Formazione e della Comunicazione presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca, ateneo presso il quale collabora. I risultati della sua lunga ricerca sono illustrati nel volume Il dettato nella scuola primaria. Analisi di una pratica di insegnamento, edito dalla FrancoAngeli nel 2014. Una lettura obbligata per ogni docente di scuola primaria.

Che cosa ci dice Elisa Farina, nel suo lavoro? Tante e utili cose, a partire da ciò che avviene in classe quando si detta: ad esempio, che cosa fanno i bambini, che cosa fanno i docenti, in che modo dettano, in che modo danno “istruzioni” (consapevolmente o inconsapevolmente) agli allievi, e quali effetti hanno queste istruzioni sui bambini stessi. E, di conseguenza, ci dice quali regolazioni andrebbero messe in pratica perché il dettato serva davvero a qualcosa.

La mia opinione è sostanzialmente in linea con quella di Elisa Farina, soprattutto quando chiarisce che, per essere efficace, il dettato non dovrebbe essere inteso e praticato solo in senso tradizionale, ma in una molteplicità di varianti (molte delle quali descritte nelle pagine del suo libro) molto più coinvolgenti e cariche di senso rispetto alla sola che molti conoscono. Qualche esempio? Dettare brani estratti dai libri di lettura, dettare un riassunto delle cose apprese alla fine della lezione, dettare all’adulto (invertendo i ruoli), dettare (perché no?) la lista delle cose da fare, o della spesa, o le regole di un gioco, o gli ingredienti di una ricetta, dettare di corsa, dettare i compiti, dettare domande da trasformare in affermazioni, e tanto altro ancora…

E sono allineato con lei ancor più quando scrive che l’insegnamento dell’ortografia può trovare la sua piena e migliore realizzazione quando è inserito nel più vasto tema dell’apprendimento della lingua scritta, e in particolare nella fase cruciale della revisione del testo, che da sempre è uno dei processi della scrittura più trascurati a scuola, e che invece andrebbe collocato ai primissimi posti delle preoccupazioni dei docenti.

Per saperne di più, ovviamente, non posso che rinviare alla lettura dell’ottimo libro, concludendo che, a mio parere, il dettato ha ancora ragion d’essere nella scuola primaria del terzo millennio, a patto che sia usato in modo consapevole e in forme e modalità diverse da quella tradizionale, il cui ricorso andrebbe limitato a non troppo insistenti momenti di verifica (sempre che non si detti sillabando o comunque con intonazioni che suggeriscano ai bambini i luoghi di difficoltà).

In questo modo, il dettato può diventare un prezioso alleato per l’apprendimento, liberandosi dalla zavorra che si porta dietro da decenni: quella che lo associa al terrore per l’errore commesso. I bambini che imparano a scrivere devono sapere che si può (e si deve anche) sbagliare, perché solo sbagliando si diventa consapevoli delle mille sfaccettature di questa complicata lingua italiana. In fondo, è ciò che ci ha insegnato Gianni Rodari, con la sua teoria dell’errore creativo: l’errore può essere bello (come la torre di Pisa!).

Una caccia al tesoro con gli anagrammi

IMG_3141A partire da alcuni spunti presenti nel libro di Simone Fornara e Francesco Giudici Giocare con le parole, ecco una proposta di attività didattica (veloce e di sicura efficacia) per la scuola elementare: una caccia al tesoro con gli anagrammi!

Si tratta di preparare una serie di cartellini con scritta, su ciascuno di essi, una parola o un’espressione ricavata dall’anagramma del nome di un oggetto presente nell’aula scolastica. Ad esempio, astuccio potrebbe diventare ciucasto (se si vogliono creare anagrammi senza senso), oppure, e meglio ancora, acustico (se si vogliono creare parole di senso compiuto); la maestra potrebbe diventare colei che sa trame;  la lavagna potrebbe trasformarsi in una innocua valanga, e via di seguito.

Basteranno una decina di cartellini (come quelli che potete scaricare da qui, già pronti per l’uso: basta ritagliarli) da inserire in una busta. Se ne estrae uno, e si chiede ai bambini, suddivisi in tre o quattro squadre, di indovinare l’oggetto in questione, andando ad appenderci sopra, con un po’ di scotch, il cartellino corrispondente.

Variante: preparare quattro buste, contenenti ciascuna gli stessi dieci cartellini, stampati magari su cartoncini di colore diverso (ogni colore identifica una squadra). Vince la squadra che per prima appende il cartellino sull’oggetto giusto. In questo caso, è bene dare lo stesso cartellino a tutte le squadre, stabilendo un tempo limite entro il quale proporre la propria soluzione. Possibile assegnare punti alle squadre (ad esempio, tre punti a chi indovina per primo; un punto alle altre squadre che indovinano comunque la soluzione; zero punti alle squadre che sbagliano).

Noi, alle scuole comunali di Gordola (in Canton Ticino) ci abbiamo provato, con gli allievi delle due terze, ed è stato divertente vedere la maestra aggirarsi per l’aula con appiccicati sulla schiena quattro bigliettini di colore diverso, tutti con la scritta sa trame. Ma ci siamo divertiti anche a mettere in difficoltà i bambini, con l’enigmatico anagramma finta scarpa in lego… che cosa sarà mai?