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Pagine da divorare o che ti divorano

Dalla rubrica Libri sui banchi del «Corriere del Ticino» (25.08.2015, p. 25):

014_copertinaNelle ultime puntate di “Libri sui banchi” abbiamo avuto modo di presentare alcuni albi illustrati realizzati da autori che hanno “giocato” con l’oggetto libro. Per completare il discorso, non resta che parlare di quel filone della letteratura illustrata per l’infanzia che mette al centro della narrazione il libro stesso. Si tratta di albi che paiono quanto mai azzeccati per promuovere il piacere di leggere nei bambini che non hanno la fortuna di avere un contatto quotidiano con i libri, o di rafforzare la convinzione che leggere è una gran bella cosa nei bambini che già ci sono abituati.

Ci sono, ad esempio, libri dispettosi che divorano le cose, come Ehi, questo libro ha appena mangiato il mio cane! di Richard Byrne (Gallucci, 2014), nel quale una bambina che sta tranquillamente portando a spasso il cane per le pagine lo vede sparire all’improvviso, inghiottito dal centro del libro; stessa sorte tocca a lei e a chi cerca di aiutarla, fino a quando un bigliettino invita il lettore a scuotere il libro, e tutto (o quasi) si risolve per il meglio. Ma ci sono anche bambini che divorano i libri, in senso letterale, come L’Incredibile bimbo mangia libri di Oliver Jeffers (Zoolibri, 2009), che solo dopo molte peripezie giunge a capire che i libri sono sì cibo, ma cibo per la mente, e che dunque non vanno ingeriti ma letti.

Oppure, ci sono libri che non devono essere aperti, come Non aprire questo libro! di Michaela Muntean e Pascal Lemaitre (il castoro, 2010), che già dal titolo è un irresistibile invito a fare proprio il contrario; e, una volta infranto il divieto, si scopre un porcellino scrittore che non ha idee per scrivere, e che è molto infastidito per essere stato disturbato dal maleducato lettore nel bel mezzo del suo sforzo creativo. All’opposto, ci sono libri che vanno assolutamente aperti, come Apri questo piccolo libro di Jesse Klausmeier e Suzy Lee (Corraini, 2013), una suggestiva idea “a scatole cinesi”, le cui pagine, di dimensioni sempre più ridotte, simulano la continua apertura di tanti piccoli libri, in fondo ai quali c’è una breve storia sui… libri.

Le pagine di un libro possono diventare struggenti metafore, come succede nel Bambino tra le pagine di Peter Carnavas (Valentina Edizioni, 2015), la cui vita si dipana con lo scorrere dei fogli, dalla nascita alla vecchiaia, fino al commovente finale; oppure possono diventare terreno di caccia di strane creaturine come L’acchiappalibri di Helen e Thomas Doherty (Nord-Sud Edizioni, 2013), che ruba i libri per una ragione ben precisa (“è che i libri mi fanno compagnia / Io sono solo, il più solo che ci sia…”).

E se il problema è staccare il nativo digitale dall’iPad, ecco che È un libro di Lane Smith (Rizzoli, 2010) fa al caso vostro: è la storia di una scimmia che legge un libro e di un asino che, pur alle prese con il suo portatile, alla fine non riesce a resistere alla tentazione di mettere il naso tra le pagine di carta dell’amico, e ne resta catturato. Per poi rassicurare la scimmia dicendo “Non preoccuparti, lo metto in carica appena l’ho finito!”, e meritandosi, per questo, quella che secondo “The New Yorker” è “la miglior battuta finale mai scritta nella storia della letteratura per ragazzi” (quale? be’, non voglio certo rovinarvi la sorpresa, ma vi assicuro che è epocale).

Infine, ci sono libri che parlano di biblioteche. Fra questi, uno dei più noti è senza dubbio Un leone in biblioteca, che scopriremo nell’ultima puntata della terza stagione di “Libri sui banchi”.

Cliccando qui è possibile scaricare il pdf dell’articolo pubblicato sul  «Corriere del Ticino».

Libri non solo da leggere

Dalla rubrica Libri sui banchi del «Corriere del Ticino» (03.08.2015, p. 21):

011_copertinaLibro tradizionale o libro elettronico? Se ne sente parlare spesso, oggi, e i pareri sono anche molto discordanti. C’è chi dice che il libro di carta non morirà mai, e chi gli ha già fatto il funerale; c’è chi sotto l’ombrellone ama sentire tra le dita la ruvidezza della cellulosa, e chi preferisce “scrollare” le pagine di pixel passando l’indice sul vetro antigraffio del proprio lettore. E ci sono bambini che imitano i grandi, nel bene e nel male, e finiscono per scegliere il supporto che vedono più spesso nelle mani dei genitori.

Ma, diciamo la verità, quante volte capita di essere al ristorante e vedere un bambino intento a leggere un libro di carta, mentre attende che i genitori finiscano le libagioni? Quasi mai. E quante volte invece ci capita di vedere un bambino che, con lo sguardo allucinato, fissa lo schermo digitale di un iPad (per guardare cartoni animati o videogiocare), mentre i genitori parlano o, nella peggiore delle ipotesi, digitano febbrili sui loro cellulari? Sempre più spesso, ormai.

Di fronte a questi dilemmi e a queste situazioni, non posso fare a meno di prendere posizione: sono uno di quelli che sotto l’ombrellone preferiscono avere a che fare con le pagine di carta, e che pensano che il libro tradizionale non morirà mai. Perché sono convinto che nasconda dentro di sé, nel suo impasto di cellulosa e inchiostro, un formidabile valore educativo. Da conservare a tutti i costi.

Ecco che allora bisognerebbe assumere atteggiamenti che invoglino i bambini a scoprire il libro e i tesori che racchiude come un prezioso scrigno (non solo) di parole. E questa scoperta, oltre alla magia delle storie che i libri raccontano, può passare anche attraverso l’avvicinamento all’oggetto libro, inteso proprio come insieme di pagine tenute vicine da una rilegatura e da una copertina che sprona a tuffarcisi dentro. Ben vengano dunque anche quei libri di stoffa e gomma pensati per i bambini più piccoli; ben vengano quelli che possiamo chiamare, con Bruno Munari, “prelibri”.

Già, Munari. Uno dei più grandi artisti del secolo scorso; uno che aveva capito l’importanza di educare i bambini all’arte e alla letteratura. Munari era solito sperimentare con i materiali, per rendere il libro un’esperienza tattile, prima ancora che di lettura, al fine ultimo di avvicinare i bambini più piccoli al fascino del libro come oggetto da toccare, manipolare e annusare. Da questa idea nacquero I prelibri (disponibili ancora oggi grazie al catalogo della Corraini di Mantova), oggetti che hanno solo la forma del libro, ma che sono costruiti facendo a meno della parola scritta e ricorrendo a materiali diversi per assemblare le pagine (cartoncini, carta velina, legno, stoffa ecc.). Oggetti adatti anche ai più piccoli, che non mancheranno di stupirsi e di meravigliarsi, toccando le pagine e “studiando” la fisicità del libro. Oggetti che, con le parole dello stesso Munari, “dovrebbero dare la sensazione che i libri siano effettivamente fatti in questo modo, e che contengano sorprese. La cultura deriva in effetti dalle sorprese, ossia cose prima sconosciute”.

E allo stesso scopo possono servire anche tutti gli albi illustrati che rendono il libro uno strumento per interagire “fisicamente” con il giovane lettore, chiedendogli di “scoprire”, come quelli di due autori che incontreremo nelle prossime due puntate di “Libri sui banchi”: Emanuela Bussolati ed Hervé Tullet. Perché la consuetudine alla lettura passa anche attraverso la magia di libri non solo da leggere.

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Alla scoperta delle lettere con Bruno Munari

IMG_1630_ridTra i tanti libri di Bruno Munari che meritano di essere riscoperti o riportati sui banchi di scuola o sui tavoli dell’asilo, un posto di tutto rilievo spetta senza dubbio al suo Alfabetiere, uno snello libretto che ha una lunga storia editoriale: pubblicato per la prima volta nel 1960 dalla Einaudi, riproposto nel 1972 nella collana Tanti Bambini, è uscito infine per Corraini di Modena nel 1998, che lo ha ristampato per l’ottava volta nel 2014. Da oltre cinquant’anni, dunque, le lettere di Bruno Munari e le sue strampalate filastrocche (fatte di parole che iniziano con la lettera di volta in volta illustrata) accompagnano i piccoli lettori alla scoperta dell’alfabeto.

Sugli utilizzi didattici cui si presta meravigliosamente questo libro non c’è modo migliore che ripercorrere le parole stesse dell’autore nella premessa scritta a mo’ di lettera per i genitori (ma il suggerimento è di leggerla per intero, aprendo la copertina del volumetto). Una premessa che a ogni riga lascia trapelare non solo la grande passione di Munari per il suo mestiere di artista-scrittore, ma anche la perizia pedagogica con la quale pensava e realizzava le sue opere. Nulla è lasciato al caso, dalla sequenza con cui sono proposte le lettere, che seguono quello che negli anni Sessanta era ritenuto l’ordine di apprendimento (secondo il grado di difficoltà); fino alla scelta dei caratteri, ritagliati da giornali e riviste allo scopo di mostrare al bambino che una stessa lettera può assumere infinite forme diverse, superando così i limiti degli abbecedari tradizionali; passando per la selezione delle parole che rendono così efficaci e musicali le filastrocche, studiate proprio per avvicinare gli orecchi bambini alla sonorità della nostra lingua.

E ancora Munari dà le dritte giuste per mettersi al lavoro, poiché il suo Alfabetiere è un libro aperto, che il giovane esploratore dell’alfabeto può completare a piacimento:

il bambino può intervenire continuando a incollare nelle pagine le lettere dell’alfabeto che avrà prima scelto e ritagliato da vecchie riviste, così come io ho cominciato a modo di esempio. Sarà per lui come andare a caccia di insetti tra l’erba di un prato facendo attenzione di non confondere formiche con cavallette.

I libri e i non-libri di Bruno Munari

munari_prelibriBruno Munari (Milano 1907-1998) è conosciuto soprattutto come artista e designer, uno dei più noti e innovativi nella storia del design italiano (e non solo). La sua produzione artistica ed editoriale è davvero sterminata e comprende anche numerosi libri rivolti ai bambini, nella quasi totalità dei casi “fuori dagli schemi”. Solo pochi di essi, infatti, presentano storie per così dire tradizionali. Li possiamo leggere grazie alle Edizioni Corraini di Modena, che continua a stamparli e ristamparli, con una sempre meritevole attenzione alla qualità del prodotto editoriale.

Alcuni esempi saranno sufficienti per solleticare la curiosità di un docente che voglia proporre stimoli nuovi e molto creativi ai propri allievi. Ad esempio, Munari era solito sperimentare con i materiali, per rendere il libro un’esperienza tattile, prima ancora che di lettura, al fine ultimo di avvicinare i bambini più piccoli al fascino del libro come oggetto da toccare, manipolare e – perché no? – annusare. Rientrano in questo filone delle sue sperimentazioni artistiche i libri illeggibili (Libro illeggibile MN 1, Modena, Corraini, 2009, prima ed. 1984) o i pre-libri (I prelibri, Modena, Corraini, 2011 , prima ed. 1980), oggetti che hanno solo la forma del libro, ma che sono costruiti per lo più facendo a meno della parola scritta e ricorrendo solo a materiali diversi per assemblare le pagine (cartoncini, carta velina, legno, stoffa ecc.). Oggetti adatti anche ai più piccoli, che non mancheranno di stupirsi e di meravigliarsi, toccando le pagine e “studiando” la fisicità del libro.

munari_nebbiaMa anche i libri più tradizionali di Munari non rinunciano al gioco di colori, spessori e trasparenze, che si alternano alla parola scritta per costituire delle vere e proprie opere d’arte, da guardare e toccare, oltre che da leggere. è il caso di Nella nebbia di Milano (Modena, Corraini, 2010, prima ed. 1968), in cui il lettore-spettatore è portato a percorrere la città scoprendone i particolari attraverso un viaggio tra pagine semitrasparenti, che rendono alla perfezione l’indefinitezza nella quale la nebbia nasconde le cose. E tra queste semitrasparenze e semiopacità, figure, colori e contorni emergono pian piano, fino a scoprire un circo e a svelare la vita che scorre al suo interno, per poi far ripiombare nell’indefinitezza della nebbia, quando si torna all’esterno. O è il caso di Nella notte buia (Modena, Corraini, 2009, prima ed. 1959), un libro stampato con inchiostro blu scuro su carta nera, a rendere l’oscurità e la paura della notte, nel quale il lettore, seguendo il lumicino giallo di una lucciola, giunge a scoprire la freschezza del nuovo giorno, svelata anch’essa da pagine semitrasparenti; per poi inoltrarsi nelle profondità di una grotta, nella quale scorre un fiume sotterraneo; per infine emergere al calare di una nuova notte, sempre con la presenza luminosa delle lucciole a segnare la via. Libri per stupire, appunto. Per meravigliarsi, pur nell’assenza totale di una vera narrazione (giusto che il docente lo sappia: non sono libri che servono per imparare la grammatica delle storie, ma per stimolare curiosità e fantasia, per favorire l’adozione di uno sguardo diverso sul mondo e sulle cose).

munari_capp_verdeVi sono, poi, altre prove di Munari che coniugano l’aspetto sperimentale con la narrazione vera e propria. Per concludere questa rapida e, per forza di cose, sommaria presentazione, ci soffermeremo infatti sulla trilogia illustrata dei Cappuccetti (se così la possiamo chiamare): Cappucetto Verde (Modena, Corraini, 2012, prima ed. 1972), Cappuccetto Giallo (Modena, Corraini, 2011, prima ed. 1972), Cappuccetto Bianco (Modena, Corraini, 2010, prima ed. 1981). Tre riscritture moderne della fiaba classica per eccellenza che si collocano a tre livelli diversi di lontananza dall’originale, e che sono accomunate dalla centralità dei colori. Cappuccetto Verde è forse la storia meno “stravolgente”: racconta di una bambina che si inoltra nel bosco e che incontra un lupo vero, ma viene aiutata dalla sua compagna Verdocchia (una rana) e dalle sue amiche (d’altronde il lupo, come un vero lupo, non si avventura fuori dal bosco perché ha paura di essere visto). Cappuccetto Giallo sposta l’ambientazione in città, e il lupo assume i tratti inquietanti dell’uomo che vorrebbe portare la bambina a fare un giretto, ma di nuovo l’intervento della natura (i canarini gialli) permette alla bambina di arrivare sana e salva dalla nonna. Cappuccetto Bianco è invece la più marcatamente sperimentale delle tre: le pagine sono interamente bianche, con i testi a mo’ di didascalia nella parte bassa, senza illustrazioni. Non si vede nulla, perché tutto è coperto da una spessa e bianca coltre di neve. Solo in una pagina si vedono gli occhi di Cappuccetto Bianco, che però spariscono subito. Non si vede neppure il lupo, che d’altronde è costretto a mangiare riso in bianco perché ha fatto un’indigestione di nonne. E c’è pure Biancaneve… Insomma, Munari si diverte e fa divertire il lettore, lo provoca, lo coinvolge nelle sue a tratti folli visioni. La trilogia di Cappuccetto offre su un piatto d’argento lo spunto per nuove riscritture, per nuove avventure nella fantasia: le stesse che pervadono tutte le pagine e l’opera di un grande autore.