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L’esercito dei libri di carta e le librerie per ragazzi

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Gianna Vitali

Dalla rubrica Letteratura e infanzia del «Corriere del Ticino» (01.03.2016, p. 29):

Recenti statistiche hanno dimostrato che il 2015 è stato, per il libro, l’anno della svolta: dopo un periodo di crisi lungo almeno cinque anni, il mercato editoriale sembra essere uscito dal tunnel. E l’inversione di tendenza, che ha riportato il fatturato dei libri in positivo in tutti i paesi dell’Europa, al traino del Regno Unito, ha riguardato in particolare il libro di carta. Già, perché nel 2015 sono calate le vendite degli ebook e sono salite quelle dei libri tradizionali: il tanto temuto e paventato accantonamento del caro vecchio libro, da sfogliare, toccare, annusare, è una distopia ancora solo ipotetica (per fortuna!). Se si pensa che questo fenomeno è in linea con quanto accaduto negli Stati Uniti, si può essere certi che non si tratti di una bolla di sapone.

E il quadro è ancora più incoraggiante se si considerano i dati che riguardano l’editoria per ragazzi: anche nel periodo di crisi più nera, era il settore più resistente; e oggi, con questi neppure troppo timidi segnali di ripresa, il suo ruolo di locomotiva dell’intero mercato librario è ancora più forte. Sono proprio i giovani, infatti, a leggere di più e a comprare più libri. In un’epoca in cui è fin troppo facile accostare superficialmente il giovane all’uso (e abuso) delle nuove tecnologie, il dato può apparire sorprendente, se non addirittura paradossale. Ma il fatto è chiaro: i più giovani non si sono (ancora) inebetiti con la testa chinata sugli smartphone.

I motivi di questo ritorno dell’esercito dei libri di carta sono certamente molti, alcuni di natura economica e altri di natura culturale. Lasciando ad altre voci più competenti i primi, soffermiamoci su almeno uno dei secondi, in relazione al settore dell’editoria per ragazzi. E allora non possiamo fare a meno di ipotizzare che a questi dati abbiano giovato le numerosissime iniziative di promozione alla lettura che hanno visto e vedono impegnate, quotidianamente, schiere di volenterosi “missionari” della narrazione. Si tratta, generalmente, di persone che non amano alzare la voce (e che per questo risultano invisibili ai più) e che non hanno mai smesso di credere nel valore educativo e democratico delle storie, portandole all’attenzione di bambini ed educatori in ogni contesto possibile. Sono persone che si sono impegnate, per anni, nell’ombra, confidando nel potere evocativo ed emozionale delle pagine di carta. Persone che hanno speso anni della loro vita a seminare, a beneficio delle nuove generazioni.

Come Gianna Vitali, compagna di Roberto Denti e fondatrice, insieme a lui, nel lontano 1972, della prima libreria per ragazzi dell’Europa continentale, la Libreria dei Ragazzi di Milano. A proposito del suo ultimo viaggio, i suoi amici della Libreria dei Ragazzi hanno scritto queste parole: «Alcune persone hanno il dono di non andarsene mai per davvero. Gianna ci ha lasciato un incredibile tesoro di idee, di passione, di parole mai banali, di progetti continui. Che raccoglieremo e che porteremo avanti». Ecco, non bisognerebbe mai dimenticare l’esempio di persone come lei. Per fortuna, guardando al Canton Ticino, possiamo dormire sonni tranquilli: sul nostro territorio, infatti, le librerie dedicate espressamente ai ragazzi sono molte, e tutte agguerrite. E sono gestite da persone competenti e illuminate dalla stessa scintilla che accendeva i cuori dei fondatori della Libreria dei Ragazzi. Una scintilla di cui tutti noi – docenti, educatori, genitori, lettori – dobbiamo prenderci cura. Con impegno costante, e senza inutili clamori.

Cliccando qui è possibile scaricare il pdf del’articolo pubblicato sul «Corriere del Ticino».

Videogiocare sì, ma con giudizio: l’intervista

Schermata 2015-12-02 alle 15.46.24Mercoledì 2 dicembre 2015, sul «Corriere del Ticino», è uscita un’intervista a Simone Fornara realizzata da Luca Cignetti sul libro Game Over (Ancona, Raffaello Editrice, 2015), scritto insieme a Mario Gamba.

Ecco un breve estratto dell’intervista, in cui si parla della malattia del protagonista del libro, la bianchite:

Il protagonista della storia gioca così tanto che si ammala di bianchite, cioè perde l’uso della parola. Ma è davvero una malattia solo immaginaria?

La bianchite cancella le parole, il pensiero, la realtà; tutto si svuota, diventa lattiginoso e inconsistente. Ovviamente nel libro calchiamo un po’ la mano, ma l’esagerazione caricaturale è solo un modo per mettere in guardia dall’impoverimento linguistico e grammaticale che minaccia la nostra epoca, e che purtroppo è reale. Magari fosse solo immaginario! Oltretutto l’impoverimento del linguaggio è solo il segno esteriore di un impoverimento più profondo e radicale: quello del pensiero. Se restiamo incollati alla sedia, davanti a un teleschermo, e rinunciamo a parlare con gli altri, il nostro pensiero si atrofizza. Lo stesso avviene se il centro della nostra vita diventa lo smartphone.

Vuoi saperne di più? Cliccando qui o sull’immagine è possibile leggere l’intera intervista.

 

Una sfida per i lettori del blog: Fefè fenicottero fece faville al festival dei funamboli

Schermata 2015-10-12 alle 15.58.47Giovedì 8 ottobre 2015, sul «Corriere del Ticino», è uscita un’intervista a Simone Fornara realizzata da Luca Cignetti sul libro Giocare con le parole (Roma, Carocci, 2015).

Il titolo un po’ bizzarro richiama la sfida che Simone Fornara ha lanciato ai lettori del quotidiano nella parte finale dell’intervista: scrivere una breve narrazione dal titolo Fefè fenicottero fece faville al festival dei funamboli con la tecnica del tautogramma, cioè utilizzando solo parole che iniziano con la stessa lettera, in questo caso la f. Per non complicare troppo le cose, l’uso di articoli, preposizioni e congiunzioni è invece libero.

L’invito a tentare la sfida ludolinguistica è esteso anche agli utenti di questo blog… il miglior testo potrebbe anche essere premiato (come? magari con una copia del libro…). Provateci, rispondendo a questo post!

Cliccando qui o sull’immagine è possibile leggere l’intervista.

 

Libri diversamente belli

Dalla rubrica Libri sui banchi del «Corriere del Ticino» (27.07.2015, p. 23):

007_copertinaIl dizionario De Mauro spiega l’uso sostantivato della parola “diverso” in questo modo: “chi per caratteristiche o comportamenti differisce, o secondo stereotipi si crede che differisca, da ciò che si considera normale”. La definizione è chiara, ma il problema è tutt’altro che risolto: per applicare quest’etichetta a qualcuno, infatti, bisognerebbe determinare in modo univoco ciò che è “normale”. Un’impresa votata all’insuccesso, statene certi. Infatti, si può differire dalla presunta normalità in almeno un milione di modi: si è diversi dagli altri per aspetto fisico, per colore della pelle, per taglio dei capelli, per gusti, per abiti indossati, per passioni, per abilità, per manie e ossessioni, per talento e per carattere. Potremmo anche dire che è normale essere diversi, in fondo.

Ma la definizione del vocabolario, con il termine “stereotipi”, ci dà un indizio in più: stereotipo è ogni “modello ricorrente e convenzionale di comportamento, discorso, pensiero” e, ancora, ogni “opinione precostituita, non acquisita sulla base di un’esperienza diretta e scarsamente suscettibile di modifica”. È proprio qui il nocciolo della questione: il concetto di diversità nasce insieme al costituirsi degli stereotipi, che non preesistono all’individuo; è la società in cui ci troviamo immersi che li determina e poi li trasmette. Così li imparano (loro malgrado) anche i bambini, e sradicarli è impresa ardua. Già, perché i bambini sono naturalmente sintonizzati sulla presunta diversità: non ne restano scandalizzati, quando non hanno ancora subito la standardizzazione degli stereotipi duri a morire. Noi adulti, invece, a seconda dei punti di vista da cui partiamo, possiamo scandalizzarci se vediamo due uomini passeggiare mano nella mano, una donna coperta da un burka, un maestro di scuola con piercing ovunque, o una famiglia di sole donne; oppure possiamo sentirci imbarazzati se dobbiamo in qualche modo interagire con una persona “diversamente abile”, come si usa dire. Èuna questione di educazione, direte voi. E di stereotipi, appunto.

Per fortuna, come spesso capita, i libri ci vengono in aiuto. Alcuni di essi sono valigette del pronto soccorso contro pregiudizi e stereotipi, per ricordarci di non aver paura di chi non è come noi. E con i bambini il loro compito di soccorritori è ancora più semplice, proprio perché è più facile scalzare gli stereotipi “freschi” che quelli stantii, o prevenirne l’insorgenza. Nelle prossime tre puntate di “Libri sui banchi”, tre coppie di studenti del DFA ci parleranno di libri che affrontano alcune facce della diversità: un’amicizia apparentemente “problematica” (Ernest e Celestine di Pennac), lo scoglio di un aspetto fisico non proprio “invitante” (Voglio un abbraccio di John A. Rowe), il rovesciamento dello stereotipo in base al quale le streghe dovrebbero sempre essere brutte e fare paura (Streghetta mia di Bianca Pitzorno). E gli albi illustrati offrono molte variazioni sul tema: ad esempio, fanno riflettere sul diverso concetto di famiglia che si sta imponendo ai nostri tempi (Piccolo uovo di Francesca Pardi e Altan, ed. Lo Stampatello), oppure parlano di pipistrelli che dormono dritti in piedi e non a testa in giù (Io non sono come gli altri di Janik Coat, Margherita Edizioni), oppure ci fanno capire che la cosa più importante è sempre ciò che ci rende unici (La cosa più importante di Antonella Abbatiello, ed. Fatatrac).

Libri che vale la pena di sfogliare, per sentirsi normalmente diversi e contenti di esserlo.

Cliccando qui è possibile scaricare il pdf dell’articolo pubblicato sul  «Corriere del Ticino».